Se io imparassi infine,
secondo il tuo auspicio,
a fare come tu non esistessi!
Ne fossi capace davvero,
mi esercitassi almeno, abituandomi
poco per volta, facendo a meno
oggi della sagra del radicchio,
domani di un vernissage, di un’escursione.
Immagina che accada all’improvviso,
di sabato: mi giunge la notizia
che non esisti. Cosa inconcepibile,
e che giammai mi auguro, se pure
indugio qualche volta, devo ammetterlo,
un po’ per gioco e un po’ per malanimo,
a immaginare – non che tu sia morta,
ma che tu abbia altrove un marito
e qua nessuno più che ti sia caro.
Svanita, come un sogno interminabile
al risveglio, sparita per sempre
dai miei week end, da tutte le stagioni.
Introvabile al mio e al tuo domicilio.
Scomparse anche le centomila foto
dall’hard disk, dai cassetti – cancellato
il tuo nome il tuo numero il tuo avatar
da ogni indirizzario e mailbox.
Dall’attaccapanni dell’ingresso
non penderà mai più
un tuo indumento estivo quando è inverno
o un cappotto in estate.
Ma più la borsa nera dei cadeaux
posata vicino all’uscio.
Sciolto ogni mio gesto quotidiano
dal tuo imperio, che dici involontario,
ora faccio o non faccio
a mio talento, non più come agissi
in tua vece, per te, insieme a te,
specialmente in tua assenza.
La domenca, all’ora solita,
metto in tavola un solo piatto,
verso il vino in un solo bicchere.
Non faccio la spesa per due,
o per i figli che non abbiamo.
Nessuno mi passerà più
libri che non leggerò.
Via gli impavesamenti di Natale
che durano tutto l’anno, e quei picandoli
che mi augurano ogni giorno
buon compleanno.
Vado a dormire perché ho sonno,
dopo aver mangiato perché ho fame.
Dò un po’ d’acqua ai gerani
o lascio che spariscano anche loro.
Bella.
Attraverso questa fantasia di improvvisa inesistenza e quasi cancellazione anche della stessa immagine della donna cui ti rivolgi, riesci a dare una viva immagine della sua attuale radicata e viva presenza nella tua vita.
Tu non sai quanto i miei sradicamenti siano radicali, a volte.
Questa fantasia è ormai troppo frequente.
È una fantasia appunto. Forse apotropaica.
Bel modo per dire non posso fare a meno di te
E anche il contrario.
Gustosissima e profondamente amara.
Mi ricorda unacerta vena poetica di Angelo Maria Ripellino, ma mi ricorda anche la poesia di unamico, dedicata ai “se stesso2 che lo accompagnavano ogni giorno.
:-)
avrei preferito che mi venisse acida, Antonio. Grazie del passaggio