Ma cosa ricomincio?
Lo chiedo a voi, miei versi, affanni astratti
e crepacuori anche troppo veri,
grandi amori giocattolo che vi accampaste
così pomposamente sulla pagina:
che consuetudine ho smesso
quando ho smesso di scrivere versi?
Cito una citazione di Roversi,
da Sklovskij:
il socialismo non c’era ancora,
bisognava scrivere molto.
Potrei parafrasarla:
i social network non c’erano ancora.
Oppure: ci sono i social network
e tante altre sciagure.
Oggi tutto è cambiato,
a parte questa cornice sormontata
da inutilissimi tools
(uso una vecchia versione di Word,
sono un uomo dal cuore antico).
Bisogna che anche le parole
cambino – ma ci siano. Non importa
che vengano o no consumate
o finiscano al macero o nel trashcan.
Parole pesanti, dal Werther 2.0. In realtà i social media che abbiamo a disposizione e che utilizziamo ormai assiduamente ci trasformano dopo dopo giorno, ora dopo ora. Non siam chi fummo, anche solo un’ora fa. E la parola poetica, anche se c’è, non è più quella. Ancora un lustro, e la poesia non sarà altro che twit.
Non è esattamente questo,
anzi è proprio questo
che io intendevo dire
(direbbe Alfred Prufrock).
Io, comunque, mi sforzo di essere chi fui, per quanto posso